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Il monologo della patata

Ieri sera teatro. Una delle tante dimensioni di cui sento la mancanza. Ma quanti portafogli ci vorrebbero per fare tutto quello che vorrei? Siamo andati a vedere I monologhi della vagina. Ho sempre desiderato vedere questo spettacolo ma l’allestimento fatto da un vecchissimo amico dell’husband trapiantato a Parigi e che ci ha fatto mettere da parte 2 biglietti me ne ha dato l’occasione. E così siamo andati a Lecce, mi mancava anche questa città con la sua atmosfera elegante. Non mi mancavano i suoi automobilisti.

Lo spettacolo è stato carino. Divertente ma non spensierato. Serio ma non serioso. Al centro di tutto lei, la vagina, interpretata da tre donne. Una parola, vagina, che fatichiamo tutti e tutte a pronunciare e che è invece importantissimo provare a pronunciare perché è nel momento in cui si ha il coraggio di dare il loro nome alle cose che queste cominciano a esistere. “Sono preoccupata per le vagine” dice Eve Ensler, l’autrice dei Monologhi, perché nessuno le chiama per nome, come se fosse una cosa di cui vergognarsi. Si inizia da piccole, quando le nostre mamme usano quei buffi diminutivi che però non crescono, rimangono bambini e in fondo nascondono il desiderio che anche noi rimaniamo sempre bambine per le nostre mamme. Così non ci abituiamo mai a chiamare il nostro organo sessuale con il suo vero nome: vagina. Diciamo la verità, è una parola imbarazzante. Non ce ne è motivo, dovremmo andare orgogliose delle nostre vagine, dovremmo prenderne consapevolezza perché avere consapevolezza di una parte così importante di noi significa prendere consapevolezza del nostro valore. Voglio dire che è una parte di noi che non può essere scissa da noi. Non è una parte a sé stante, non prescinde da noi.
Questo è un modo maschile di guardare alla donna che purtroppo anche noi donne abbiamo incorporato. Questo credo lo spirito dello spettacolo. Ma rimane una parola scomoda e non pensavo di parlarne se non fosse che proprio oggi ho scoperto una pubblicità, questa sì imbarazzante, tutta giocata sull’ambiguità del termine “patata” che come quasi tutti sanno è uno dei nomignoli attributi alla vagina. Uno dei più brutti secondo me, perché la patata, chissà perché, è anche sinonimo di stupidità. È un concorso per eleggere la Miss Patata. Non voglio fare pubblicità all’azienda, però ogni volta che credo si sia toccato il fondo nello svilimento del corpo femminile e della sua dignità mi rendo conto che non c’è limite al peggio. Non so se peggiore ma sicuramente se la giocano con lo schifoso slogan “Tu dove glielo metteresti” di cui si è già parlato in altro post. Qui c’è una ragazza bellona vestita con l’incarto trasparente delle buste delle patatine, c’è la bruttina ma simpatica che spera di vincere e c’è l’uomo che alla fine sceglierà la Miss Patata. Ah, l’uomo è Rocco Siffredi. Che per il solo fatto di avercelo più lungo di altri ha il potere di dare un giudizio sulla patata migliore. Un mix di doppi sensi e luoghi comuni come non se ne vedevano da tempo. Insomma una pubblicità rivoltante. E anche brutta da un punto di vista estetico. Vi invito a segnalarla allo IAP, l’istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria inviando l’apposito modulo

“Vagine di tutto il mondo unitevi!” era un po’ il grido di battaglia dello spettacolo. Che faccio mio in questa occasione.

N.B. in questo post la parola “vagina” viene scritta 8 volte (9 con questa). Potevo fare di più ma è un buon inizio.

Nave senza nocchiero

Non sono la prima né l’ultima a vedere nel tragico affondamento della nave Concordia una triste metafora del nostro Paese.
A me sono venuti subito in mente alcuni famosi versi danteschi (Canto VI del Purgatorio)

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!

Una nave senza nocchiero o con un nocchiero pusillanime, che nega l’evidenza fino alla fine. Un nocchiero che non è capace di prendersi le responsabilità del proprio ruolo.
Quello che scrivevo nel post precedente si è rivelato in tutta la sua drammaticità. Ognuno nelle cose che fa, nel suo lavoro e nelle sue scelte di vita – auspicavo – deve metterci la coscienza.
Dal macchinista dei treni a chi ripara i marciapiedi, da chi costruisce le case a chi opera in ospedale, da chi pulisce le strade a chi guida una nave.
L’Italia e il mondo intero sono come quella nave che va avanti a oltranza, continuando a bere, mangiare e ballare fino a che uno scoglio interrompe, in modo tragico, la navigazione.
Sarebbe bastato invertire la rotta, fermarsi un attimo prima. Anche fuori di metafora il messaggio è lo stesso: invertire la rotta. Cambiare pagina e abitudini, smetterla di consumare le risorse prima che queste finiscano.

Ieri a Monopoli, la mia città adottiva (non so se io ho adottato lei o viceversa) si è svolta una manifestazione regionale per protestare contro le trivellazioni delle nostre coste alla ricerca di petrolio.
Un corteo colorato che al grido di NO PETROLIO vuole impedire alla Northern Petroleum di distruggere le nostre coste. La manifestazione, come tutte le manifestazioni popolari, ha avuti luci e ombre, però nessuno può più far finta di non saperne niente e anche a livello politico, vista anche la massiccia presenza di politici di ogni schieramento (ma dov’erano prima, quando quei permessi sono stati firmati?) ora dovranno perlomeno ascoltarci.
Vista dall’interno la manifestazione ha un sapore diverso, quello delle persone che ci hanno creduto e che si sono impegnate perché riuscisse.
Alla fine, di ogni cosa si può dire che “lascia il tempo che trova” ma se tutti ragionassimo così nulla mai cambierebbe.
Due riflessioni a margine del corteo. 1) passando davanti alle associazioni di pescatori mi ha colpito (ma non stupito) che proprio loro che avrebbero più da perdere, proprio loro che nel mare ci vivono e del mare vivono fossero sulla soglia a guardare il corteo, le facce impenetrabili di chi ha ben altri problemi e guarda a queste manifestazioni come a delle ragazzate. Davvero inquietante. 2) mi chiedo quante delle persone che hanno partecipato al corteo siano consapevoli di una cosa: NO PETROLIO significa anche lasciare la macchina a casa se puoi fare il tragitto a piedi. Significa prendere il treno, andare in bici, camminare… ma non solo. Significa cambiare il proprio stile di vita. Significa anche imparare ad apprezzare quello che abbiamo. Significa anche fare piccoli passi, ma farli. Possibilmente nella direzione giusta.
E qui ritorniamo alla nave senza nocchiero e alla necessità di cambiare comandante e invertire la rotta.

La linea d’ombra

polemiche di provincia

Il mio post precedente è diventato, quasi per caso, un articolo per lo stesso mensile. Un po’ modificato, naturalmente  perché una cosa è scrivere sul un blog che è come una forma di diario di cui rispondo in prima persona, altra cosa è scrivere su un mensile cartaceo e collettivo.
Ho scritto un articolo sotto forma di lettera, molto più equilibrato del post, rispettoso, non certo prendendomela con l’autrice ma prendendo la sua infelice frase come spunto per poter dire quello che penso in merito.
L’articolo è anche piaciuto, insomma, era senza pretese però tocca alcuni temi a cui tengo molto.
Scrivo per esempio: Noi donne oggi combattiamo da una parte con una vocina atavica (quanto somigliante a quella delle nostre mamme, zie, nonne…) che ci fa sentire inadeguate se il nido domestico non è perfettamente a posto e se la cena non è ancora pronta, dall’altra con una società che ci vuole premurose, disponibili e giovanili in ogni occasione.

E ho concluso consigliando di leggere il libro di Michela Murgia (Ave Mary) cogliendo l’occasione per parlare di un libro e di un tema che mi sta a cuore:
Avrei solo un ultimo suggerimento, se mi permette. Legga Ave Mary di Michela Murgia (Einaudi).Le rivelerà aspetti inediti della donna per eccellenza, Maria di Nazareth. Che il “sì” di Maria, per esempio, non era un sì di sottomissione (come la Chiesa degli uomini ci ha convinto a pensare) ma di ribellione.

Si ribella, infatti, a quello che la società dell’epoca riteneva fosse il suo “dovuto” (quale ragazza non avrebbe risposto “ne parlerò con mio padre”?) e invece decide liberamente di accettare la proposta “indecente” dell’angelo mandato dal Signore.
E meno male che lo ha fatto. Altrimenti non staremmo qui, io e lei, a parlarne.

Mi pare anche rispettoso, o no?
Beh non ci crederete ma quella che mi era stata descritta come una innocente ottantenne ha mandato una lettera di fuoco in redazione: inopportuna, insensata e offensiva. Per fortuna non la pubblicheranno, sarebbe una inutile polemica e non era quello lo spirito del mio articolo. Ma la signora  deve essere una di quelle matrone da salotto di provincia abituata a essere giudicata sempre brillante e arguta. Tra le altre cose mi ha definito una “femminista estrema” autodefinendosi “femminista autentica” e temo ne sia convinta. Una che dice che al marito non si può chiedere più del dovuto come aiuto in casa? Bah. E comunque io non sono femminista, né estrema, né autentica, né doc o quel che si vuole.

Riporto solo la risposta al mio suggerimento  di lettura (a quanto pare la cosa l’ha offesa molto, come se le avessi detto signora lei è un’ignorante):
A parte l’imperdonabile colpa di non conoscere questa grande opinionista (povera Michela Murgia ridotta al ruolo di opinonista), lei crede davvero logico appiccicare questa etichetta ad una donna umile, povera e ubbidiente che, pure spaventata dall’enormità della “proposta indecente” le si è tuttavia adeguata? Non è Lei che ha portato in seno il figlio di Dio per poi farlo nascere in un tugurio, respinta da tutti, e che poi il figlio ha seguito nel suo sublime cammino di sommo maestro sino all’atroce e ingiusta morte sulla croce? Lasciamo andare signora il suo femminismo è davvero irrispettoso oltre che capotico
(sic).

Insomma Maria di Nazareth non è una ribelle ant litteram. E pazienza, ognuno ha le sue idee. però capotica non me lo h amai detto nessuno. Onore al merito.
Sorpresa e amareggiata da questa sterile polemica, molto provinciale, ma non ci sto a farmi trascinare in queste logiche da cortiletto. Io dico quello che penso. Punto.
Però a dire il vero ora mi è stato chiesto di tenere una rubrica fissa per questo mensile. Una sorta di Diario di una casalinga (disperata?). A me piacerebbe, mi piace scrivere (anche se già mi chiedo dove troverò il tempo). Potrebbe diventare una sezione di questo blog che aggiorno così poco… Però sono  titubante. Non vorrei attirarmi addosso le ire di tutte le vecchiette del quartiere… HELP. Scherzi a parte… è che ogni volta che mi espongo, che dico davvero quello che penso succede qualche casino. Chi me lo fa fare?

“l’ira funesta delle cagnette a cui aveva rubato l’osso…”